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HL18
AUTODETERMINAZIONE
SAPER ACCOMPAGNARE

SAPER ACCOMPAGNARE

Nel programma dei corridoi umanitari l’accompagnamento è inteso come l’insieme di azioni delle comunità accoglienti e degli operatori a favore dei beneficiari, accompagnati per almeno un anno in diversi ambiti:
nell’iter legale per l’ottenimento dei documenti
nell’inserimento nel contesto sociale, in primis scolastico e lavorativo
nella cura di problematiche mediche e psicologiche
Tutte le forme di accompagnamento concorrono ad un obiettivo più ampio: il supporto alla persona, con i suoi limiti e con le sue potenzialità, capacità e competenze, accompagnando in un percorso di vita nuova.
Dal monitoraggio è emerso un dato comune nelle relazioni di accompagnamento positivo: l’essere fondate sulla fiducia, data e ricevuta da tutti gli attori, rifugiati, comunità accoglienti, operatori. Quando si è realizzato i rifugiati lo hanno riconosciuto:
“io sto benissimo, loro si occupano di me più di una madre, più di una sorella, non solo con me e i miei figli”
“Io sono arrivata in un posto sicuro con tutti i vicini che mi aiutano a prendermi cura dei miei figli, di me”.Quando una delle parti non ha accettato di fidarsi dell’altro, l’accompagnamento non si è realizzato pienamente. Una psicologa ha spiegato:
"Ci abbiamo provato sia io sia la mediatrice [...]. Ci sono state tante contraddizioni e resistenze. Non riusciamo nemmeno a capire se quello che ci ha detto sia vero oppure contenga anche delle basi inventate. Di base c’è una diffidenza, comprensibile perché i paesi da dove vengono e le storie che hanno, giustificano un certo grado di diffidenza e mancanza di fiducia; ma questa disposizione d’animo non facilita il lavoro, pregiudicandone la qualità. Noi tante volte abbiamo dovuto fare interventi per specificare che siamo qui per coadiuvarla, aiutarla, e lei invece pensava che noi fossimo qui ad attaccarla ed a criticarla nelle sue modalità di essere madre”. Nelle parole di due rifugiati emerge il punto di vista di chi non aveva sperimentato la dimensione dell’accompagnamento:
“Io vivo quassù. Non facciamo niente, non usciamo di casa. Mi hanno detto che se non c’è nessuno che può badare a mio figlio non posso andare a scuola. Lui [figlio] sta andando a scuola di mattina, ma non va bene, le insegnanti si lamentano, lui anche non è contento, non parla ancora la lingua, ha difficoltà a capire”. È necessaria, perciò, anche un’altra accezione di accompagnamento, rivolto a operatori e volontari, che devono essere accompagnati a comprendere che cosa significa accogliere.
Questa preparazione si è declinata come:
Preparazione ad accogliere: spiegare il contesto familiare, sociale e abitativo da cui provengono i rifugiati, i ruoli familiari, i traumi che possono emergere.
Preparazione ad accettare la libertà: preparare al fatto che i rifugiati possono rifiutarsi di dare fiducia e che possono andarsene.Nelle parole di un’operatrice:
“la Caritas non è che ti dà il soldo oppure ti dà il cibo, la Caritas cerca di accompagnarti in un percorso verso l’autonomia […] tanti di questi percorsi non vanno a buon fine [...] nella tua testa è chiaro, questo è il percorso giusto per te, tu devi fare questi passi, io ti aiuto in questo e in questo, ma poi nella realtà non è così [...] le persone poi ci devono mettere il loro, alcuni non collaborano [...]perché li carichi di aspettative che in realtà sei tu che pensi [...] invece devi sempre tenere in conto, quando lavori in Caritas, sia della possibilità del fallimento, sia anche della frustrazione che ti può venire da questo”.Le diocesi che hanno fatto questo percorso hanno visto con maggior frequenza la permanenza dei rifugiati almeno fino alla fine del progetto annuale, se non più a lungo, con una maggiore integrazione sociale. Quelle che hanno vissuto la partenza dei rifugiati hanno potuto gestire meglio le reazioni dei volontari.
Le diocesi in cui la preparazione non è stata fatta hanno avuto maggiori difficoltà di relazione, tassi più alti di partenze dei rifugiati e di reazioni negative da parte delle comunità.

 

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