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INTEGRAZIONE

L'integrazione sociale definisce uno stato di sostanziale e consensuale coinvolgimento di tutti i gruppi e soggetti collettivi nel più generale sistema delle istituzioni, delle norme e dei valori della comunità.

Un esempio è l’integrazione sociale degli immigrati da regioni meridionali verso quelle settentrionali in Italia nei primi decenni del dopoguerra, alla ricerca in particolare di lavoro.

Una delle prime definizioni di cosa fosse tale processo di integrazione risale alla metà degli anni sessanta: l’integrazione sociale è lo “scambio reciproco di esperienza umana sul piano psicologico ... uno scambio culturale dal quale emerga una prospettiva più ampia e matura e deve essere un inserimento dell’immigrato nella nuova struttura sociale come una parte vitale e funzionale che arricchisce l’insieme” (Studi di Sociologia Anno 2, Fasc. 4, Ottobre • Dicembre 1964, pp. 347-370; cfr anche Alberoni e Baglioni (1965), L'integrazione dell'immigrato nella società industriale, vol. 3. Società editrice il Mulino, Bologna). Come si evidenzia dalla definizione, tali spostamenti migratori non portano alla formazione di ghetti nelle aree cittadine e metropolitane di arrivo in forza di una apertura, da parte dell’immigrato, e di una capacità di accoglienza e inserimento, di accompagnamento e di dialogo da parte della popolazione residente.

Per quanto riguarda, invece, l’integrazione sociale di immigrati stranieri, la prima definizione fu coniata dalla Commissione per l’integrazione, costituita nel 1998 presso il Ministero per la solidarietà sociale e ripresa dal primo rapporto sull’immigrazione, edito nel 2000. L’integrazione sociale è stata descritta come “un processo di non discriminazione e di inclusione delle differenze, nel costante e quotidiano tentativo di tenere insieme principi universali e particolarismi, che prevenga situazioni di emarginazione, frammentazione e ghettizzazione che minacciano l’equilibrio e la coesione sociale e affermi principi universali come il valore della vita umana, della dignità della persona, il riconoscimento della libertà femminile, la valorizzazione e la tutela dell’infanzia, sui quali non si possono concedere deroghe, neppure in nome del valore della differenza” (art. 40 del DPR 5/98 istitutivo della Commissione per l’integrazione).

Per quanto riguarda l’integrazione lavorativa, il programma dei corridoi umanitari utilizza alcuni degli strumenti tipici di questo campo d’azione: borse lavoro attivate con contributi europei e nazionali finalizzati e tirocini presso aziende locali finanziati dalle Caritas diocesane per alcuni mesi, finalizzati in entrambi i percorsi a creare contatti tra i datori di lavoro e i beneficiari, che, vivendo da poco tempo nel territorio, fronteggiano spesso grandi difficoltà a creare tali legami.

Soprattutto nelle realtà diocesane agricole, inoltre, il progetto dei corridoi umanitari ha inteso fortemente proteggere i beneficiari dal rischio di sfruttamento lavorativo e dal fenomeno del caporalato.

L’obiettivo dell’integrazione lavorativa, infatti, non può essere descritto solo come la necessità che i beneficiari arrivino all’autonomia economica alla fine dei 12 mesi di progetto quanto piuttosto come la necessità che essi diventino parte attiva del tessuto economico locale, diventando non solo percettori di reddito ma anche titolari di diritti e di contratti legati all’occupazione svolta. In tal modo, l’autonomia economica del migrante diventa integrazione nel mondo del lavoro, nel quadro normativo e nel tessuto sociale.

Nel quadro del programma dei corridoi umanitari, l’integrazione è considerata il fine ultimo del programma stesso, da raggiungere attraverso due volani fondamentali: l’apprendimento dell’italiano e il lavoro. Per facilitarne l’ottenimento quanto sottolineato sul tema di un reale accompagnamento e dell’accoglienza sono decisivi.  Per questo motivo quella sull’esperienza di integrazione è stata una delle domande più importanti tra quelle sottoposte a tutti gli attori in gioco nel programma.

Nelle varie definizioni date, infatti, frequentemente i soggetti intervistati hanno fatto riferimento all’integrazione come un percorso, i cui soggetti protagonisti sono tanto gli immigrati - che devono entrare nella nuova società di arrivo, comprenderne le regole e apprenderne la storia e la cultura oltre alla lingua - quanto la comunità che accoglie, che deve aprirsi alla conoscenza di persone diverse per lingua, cultura e talvolta anche religione.

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