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HL09
SHOCK
COSA É CASA ?

COSA É CASA ?

Le 45 località di accoglienza gestite da Caritas italiana, avevano approntato modelli diversi di sistemazioni abitative per i beneficiari, in base a due elementi essenziali: la disponibilità di alloggi nella diocesi, le necessità specifiche delle persone accolte.
Considerando che alcune diocesi hanno gestito l'accoglienza di più nuclei familiari, in contemporanea o in momenti diversi dal 2017 in poi, in 37 diocesi il modello è stato sempre quello dell'accoglienza in case autonome, date in comodato d'uso gratuito o oneroso oppure in affitto alla Caritas diocesana da parte di persone del luogo. Tra questi casi rientra anche quello, molto particolare, di un appartamento concesso in comodato d'uso gratuito da parte di un monastero di suore, che hanno accolto una famiglia.
Ci sono state poi tre diocesi che hanno organizzato l'accoglienza secondo il modello del co-housing tra la famiglia accolta e una famiglia italiana.
Purtroppo tale modello si è rivelato fallimentare in tutte le esperienze perché ha fatto emergere conflitti così profondi e difficoltà così complesse da rendere necessaria l'interruzione della convivenza.
Questo modello di accoglienza, infatti, ha dimostrato quanto ogni nucleo familiare necessiti del rispetto reciproco per i propri spazi, le proprie modalità di gestione dei rapporti tra i membri della famiglia e di autonoma gestione dei tempi di vita.
In 5 casi, invece, le persone, sia single sia famiglie molto numerose, sono state collocate in strutture gestite dalla Caritas diocesana per l'accoglienza di migranti.
All’interno perciò di queste strutture il livello di autonomia nell'organizzazione della vita quotidiana da parte dei rifugiati è stato molto variabile. In base all’organizzazione scelta da ogni singola Caritas diocesana, i rifugiati sono stati accolti sia in strutture in cui dovevano rispettare rigidi orari per le attività quotidiane organizzate dagli operatori, con scarsi spazi di vita personali, sia in strutture in cui i rifugiati potevano organizzare le proprie giornate in modo totalmente autonomo, gestendo da soli o in collaborazione con altri ospiti gli spazi di vita (camere e cucine).
Nella maggioranza dei casi, comunque, il primo impatto dei rifugiati con la nuova abitazione è stato complesso: pochi, infatti, sapevano gestire tutte le necessità che una casa in Italia comporta, dal gas, alle pulizie, all’uso degli elettrodomestici e dei servizi igienici.
In alcuni casi, è stato necessario partire da un livello ancora più essenziale, come descritto da un operatore:
“appena siamo arrivati a C. [città] con il gruppo io ho dato le chiavi a una delle signore rifugiate, dando per scontato che aprisse la porta, ho dato le chiavi e lei in realtà non sapeva cosa fare.
Per cui ho detto ‘qua veramente dobbiamo iniziare da zero’. E siamo partiti proprio il primo giorno a spiegare cosa fosse una porta, cosa fossero le chiavi…come funzionava..”

Altrove il primo impatto con il concetto di “casa” è arrivato il giorno dopo l’arrivo, sempre in maniera tanto semplice quanto dirompente:
“l’indomani mattina quando sono andato a trovarli, guardo i letti che erano come li avevo lasciati la sera prima. Ho chiesto ‘ma possibile che non avete avuto freddo?’ tramite gesti e qualche parola in inglese […] Questi non si sono messi nel letto, ci si sono buttati sopra senza infilarsi sotto le coperte, perché loro non sapevano come ci si mette nel letto. L’indomani mattina noi operatori ci siamo infilati sotto il letto per fargli vedere come si sta dentro il letto”.

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