MATCHING IL POSTO GIUSTOPer matching si intende la fase di individuazione della miglior corrispondenza possibile tra le esigenze dei profughi (famiglie numerose, casi di disabilità, etc.) inseriti nel programma dei corridoi umanitari e le risorse disponibili nei territori di accoglienza (risorse abitative, servizi sociali comunali, scuole, strutture sanitarie con servizi medici specifici, opportunità lavorative, reti di volontari). Il matching è uno dei punti chiave del progetto dei corridoi umanitari perché rappresenta il punto di partenza per la costruzione di un percorso di integrazione il più possibile personalizzato rispetto alle esigenze dei beneficiari e, quindi, con maggiori possibilità di successo. Un esempio dell’impegno nella fase di matching è il collocamento di una famiglia con un minore affetto da sordità presso una Caritas diocesana nel cui territorio vi è una scuola dove si insegna la lingua dei segni italiana. Tuttavia, sebbene il matching iniziale fosse stato pensato e organizzato risolvendo il maggior numero di bisogni possibili e facendoli corrispondere con le risorse più adeguate sul territorio italiano, il monitoraggio ha dimostrato che realizzare un matching nella vita quotidiana non è quasi mai realizzabile. La realtà delle famiglie e dei singoli accolti è più complessa dei loro bisogni e delle capacità e possibilità dei territori che li accolgono e occorre spesso fare dei compromessi. Un esempio estremamente significativo è quello descritto da una suora: “noi avevamo dato la disponibilità di questa casa per un nucleo famigliare e poi ci hanno detto che qui sarebbero arrivati 4 uomini;noi gli abbiamo detto di no [a Caritas italiana] perché questo è un convento di suore, perché la casa è proprio all’interno”. In alcuni casi anche se le diocesi erano pronte ad accogliere famiglie numerose perché avevano case sufficientemente grandi, queste si trovavano in piccoli paesi lontani dai centri cittadini, con servizi o mezzi pubblici non adeguati per raggiungere scuole e luoghi di aggregazione sociale e lavoro. Altre diocesi non avevano il personale qualificato adeguato per rispondere a specifici bisogni dei beneficiari, emersi una volta giunti in Italia: nello specifico etnopsichiatri, psicologi e mediatori qualificati. Ciò ha fatto sì che i problemi psichiatrici e psicologici siano divenuti ostacoli all’integrazione perché non sono stati curati con le modalità e i tempi più efficaci. Nelle realtà in cui il matching ha funzionato, portando all’effettiva integrazione delle persone accolte, l’elemento determinante è stato soprattutto l’effettiva volontà delle parti di instaurare un rapporto personale basato sulla fiducia reciproca, oltre al matching tecnico tra le specifiche necessità dei beneficiari e alle corrispondenti competenze delle comunità accoglienti: “nel cuore di chi arriva cosa c’è? Il modello funziona ma tutto dipende dalle aspettative di chi arriva. Funziona perché sono accolti da persone che hanno fatto la scelta di accogliere e accompagnare.” |
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