Molte le dichiarazioni di solidarietà che si sono susseguite dopo la caduta di Kabul. A noi però interessa capire quanto di questa reazione anche politica e mediatica si stia concretizzando, come e per chi. Abbiamo chiesto ad Oliviero Forti - responsabile per le politiche migratorie e la protezione internazionale di Caritas Italia - e Daniele Albanese - responsabile Area Internazionale Corridoi Umanitari di Caritas Italia - di aiutarci a far luce.
I recenti avvenimenti in Afghanistan hanno generato un'ondata emotiva e un “improvviso” interesse per la sorte dei profughi afghani – in particolare per i collaboratori dei Paesi occidentali e per la categorie più a rischio. Circola però un'informazione un po' confusa e, di nuovo, soprattutto emozionale, rispetto ai percorsi previsti per coloro che sono riusciti ad arrivare, nel nostro caso in Italia. Puoi aiutare a fare chiarezza rispetto ai percorsi di accoglienza previsti?
Alla risposta solidale che abbiamo visto nei primissimi giorni dopo la presa di Kabul da parte dei Talebani con i ponti aerei attuati anche dalle autorità italiane, deve fare seguito un piano di accoglienza che garantisca standard adeguati. In particolare potrebbe essere il momento propizio per fare dei passi in avanti, anche a livello legislativo se occorre, per convogliare la grande disponibilità che singoli individui, famiglie, comunità e associazioni hanno dimostrato.
Al momento sono arrivati in Italia circa 4900 cittadini afghani che dopo il periodo di quarantena verranno accolti nel sistema SAI, gestito dai comuni, e nei CAS, attraverso le Prefetture. Noi diciamo chiaramente che con questi numeri non c'è alcun problema di reperimento dei posti, e come rete Caritas ci siamo messi a disposizione delle autorità per trovare soluzioni anche nell'immediato per centinaia di persone, tra cui ad esempio molti collaboratori della nostra missione ad Herat, la squadra femminile afghana di calcio in Caritas Firenze o i ricercatori della Fondazione Veronesi a Kabul in Caritas Ambrosiana. Quel che non deve succedere però è scaricare le responsabilità (e anche i costi) dell'accoglienza sulle comunità locali con convenzioni di durata limitata o la delega completa all'associazionismo.
Per avere efficaci percorsi di integrazione che portino i rifugiati afghani ad inserirsi nella nostra società in tempi rapidi e trovare un futuro in Italia, occorre fare leva sulle comunità locali che si son rese disponibili con accompagnamento e formazione attraverso operatori professionali. Proponiamo di guardare al modello di Community Sponsorship già attivo in diversi Paesi, e alla consolidata esperienza di coinvolgimento comunitario dei Corridoi Umanitari, per introdurre un sistema coerente e sostenibile. Ricordiamoci che la situazione di crisi afghana non finirà certo a breve e occorre essere preparati ad affrontare al meglio la sfida delle migrazioni legali e sicure.
In questo impeto di solidarietà europea, ci si dimentica che in Europa e alle sue frontiere ci sono da tempo molti afghani: tra chi è già in Europa, alcuni hanno anche ricevuto nei mesi antecedenti il diniego alla domanda d'asilo o di protezione e un decreto di espulsione. Coloro che stanno a ridosso alle frontiere, sono stati finora spesso brutalmente respinti con l'aiuto dei Paesi di transito o di primo approdo (come la Croazia), anche quando minori. Avete qualche informazione o sentore, rispetto a un cambio di trattamento alla luce dei fatti recenti, sia in Italia che in altri Paesi europei? Intravvedete la possibilità di un miglioramento per la sorte di queste persone?
Proprio nei giorni in cui "salvavamo" le vite di cittadini afghani in fuga da Kabul, alle frontiere europee respingevano loro connazionali nel tentativo di cercare protezione. Quel doppio volto dell'Europa sui migranti che spesso abbiamo denunciato.
Ci sono circa 300mila cittadini afghani in Europa a cui va garantita una forma di protezione e migliaia sulla rotta balcanica che non vanno respinti alla frontiera. Questo è quel che chiediamo all'Europa, complice di aver lasciato l'Afghanistan in mano ai talebani, ma le dichiarazioni a riguardo non sono per ora di apertura.
Molti hanno lasciato via terra l'Afghanistan nelle settimane e nei mesi precedenti, man mano che i loro villaggi venivano occupati o ancor prima, giacché le violenze non sono cosa recente. Altri sono partiti nelle ultime settimane. Da un lato l'Europa esprime solidarietà, dall'altro la Turchia, pagata dall'Europa per contenere le ondate, sta costruendo un muro al confine con l'Iran... Alla luce dei fatti recenti, esiste qualche possibilità di organizzare una sorta di Corridoio Umanitario di emergenza, a partire dall'Iran?
Stiamo lavorando con le autorità italiane per esplorare le possibilità operative di attuare corridoi umanitari o evacuazioni rapide da Paesi terzi in cui i rifugiati trovano primo asilo come Iran o Pakistan. Ricordiamoci che ci son molte persone che già hanno visti, nullaosta e spesso famigliari in Italia e che non sono riusciti ad entrare sugli aerei nei tragici giorni delle evacuazioni a cui va data una risposta immediata.
Le premesse operative ci sono tutte e anche la disponibilità delle organizzazioni internazionali in tal senso. Resta da capire però in che modo si intende accogliere ed integrare le persone che potrebbero essere portate in Italia e come il Governo intende agire per supportare il moto solidale delle comunità locali.
Come rete Caritas siamo pronti a fare la nostra parte sia sul fronte internazionale che per quel che riguarda l'accoglienza all'interno di un quadro di corresponsabilità con le autorità.
Più in generale, in base ai vostri contatti istituzionali e al di là delle dichiarazioni ai media, vi pare che la preoccupazione prevalente dell'Europa in questa fase sia di accogliere davvero, o di contenere il flusso salvando le apparenze?
Le spaccature tra gli Stati membri sul tema migratorio sono evidenti, la crisi afghana è solo l'ultima in ordine di tempo ad evidenziarle ed ancora una volta temiamo che prevarranno le politiche di esternalizzazione delle frontiere al fine di non fare arrivare i migranti in suolo europeo ma di lasciare la maggior parte delle persone nei Paesi limitrofi che già oggi ospitano milioni di cittadini afghani forzati in questi anni a lasciare il loro paese.
Certamente qualsiasi percorso sarà importante anche per salvare una sola persona in più, ma non sufficiente alla gestione sostenibile e stabile dei flussi migratori in previsione dall'Afghanistan e dal contesto mediorientale.
fotografia di Max Hirzel. B. and S.,due profughi afgani , minori , nel campo profughi di Principovac, in Serbia (2019).