Nel volto di mama Reem, bonario e ironico allo stesso tempo, vedo e riconosco subito il Medioriente. Lei, con il largo sorriso incorniciato dal hijab e sua figlia Aya, capelli sciolti e sguardo brillante, emanano la gentilezza che quella terra ha un modo tutto suo di esprimere.
Mi sono spesso chiesto perché il destino di tanta sofferenza là dove affabilità e raffinatezza hanno segnato la storia, nella mezzaluna fertile che ha visto l'uomo imparare a vivere in comunità.
Reem e Aya, con baba Maher e gli altri due figli Maya e Mohamed, hanno lasciato Damasco per la Giordania poco tempo dopo l'inizio del conflitto, Mohamed aveva solo 2 anni. Dopo 10 anni passati ad Amman, sono giunti in Italia a maggio di quest'anno tramite i Corridoi Umanitari, un arrivo rimandato di un anno a causa della pandemia. Sono accolti a Brescia dalla Caritas locale che ne accompagna passo passo il percorso, come previsto dal progetto.
“E' stata dura, come rifugiato in Giordania non hai documenti, non puoi lavorare, all'arrivo non ho potuto iscrivermi alla scuola pubblica e ho perso un anno”. Per Aya lo studio è tutto, ha dovuto frequentare ad Amman una scuola privata a pagamento, poi il primo semestre di Università, giocoforza sempre privata, ed ora attende la residenza per iscriversi a quella italiana. “Sono indecisa se continuare Biotecnologia o iscrivermi a Medicina, Chirurgia”
La Giordania ha accolto molti siriani, ma non senza attriti, “Appena sentono l'accento siriano ti dicono, ecco, siete venuti a rubarci il lavoro” - parole che non suonano nuove, la mamma di Aya incalza, “per qualsiasi problema in Giordania danno la colpa ai siriani”.
Gia prima del conflitto in Siria, la Giordania viveva un equilibrio precario cronicizzato tra la componente araba autoctona e quella dei profughi palestinesi che vi trovarono rifugio a seguito dei conflitti ebraico-palestinesi del '48 prima e del '67 poi, arrivando a superare il 40% della popolazione.
Va da sé che la nuova ondata di profughi siriani – circa 1,3 milioni su un totale di 10 – ha aumentato la pressione su un Paese in condizione socio-economica già precaria. Chiedo se l'avversione viene dalla componente autoctona, “Da entrambe” – risponde subito Reem. Anche questo non è nuovo, ci si dimentica in fretta ciò che si è subito, e si replica con gli ultimi arrivati.
“Anche per mio padre è stata dura in Giordania, per il suo lavoro”; Maher è ingegnere elettrico, e aveva già lavorato in Italia prima del conflitto siriano, proprio a Brescia dove è diventato amico di un imprenditore, Claudio Colombo, che ha facilitato l'arrivo a Brescia di tutta la famiglia. Ora vivono nell'appartamento di fianco, “Claudio è un grande amico, ci ha aiutato e ci aiuta tantissimo, per tutto, - prosegue mama Reem - solo che io a casa sua non vado perché ha due cani grossi grossi, mi fanno troppa paura!”, e scoppia a ridere!
Ride spesso Reem, anche se per lei è non è facile. Fatica con la nuova lingua, - “E' troppo difficile l'italiano!” - e si sente sola, con le sorelle e il resto della famiglia rimasti a Damasco - “Messenger, sono sempre su messenger!”. Le chiediamo se l'Italia se l'immaginava diversa; compare un sorrisetto ironico e guarda di sbieco sua figlia, come a chiedere se può dirlo, poi non si trattiene: “Siiiii, molto diversa! mio marito sempre a dire, l'Italia, l'Italia! Ma è questa l'Italia?” - non c'è traccia di rabbia, parla ridendo, è irresistibile. Da considerare che era abituata a Damasco e Amman - “E poi non trovo quello che mi serve per la mia cucina, e qui, oooh, i pomodori, 2 euro! Is too expensive!!”.
Finiamo ovviamente a parlare di cibo e arriva puntuale l'invito per un pranzo siriano alla prossima visita, obiettivo centrato.
Mama Reem deve andare a prendere Mohamed a scuola, noi restiamo ancora un po' a chiacchierare con Aya, “Mia mamma è la persona più cara che conosco, ha lasciato casa e la sua famiglia per il nostro futuro, anche se per lei è stato così difficile, eravamo piccoli, le persone non immaginano cosa vuol dire...”. Già.
Non vedo l'ora sia la prossima visita, per conoscere anche Maher, Maya, Mohamed. E per il pranzo siriano.
testo Max Hirzel
foto Max Hirzel