Come già era emerso dalla mia ultima visita del 2019, le accoglienze più problematiche rimangono quelle di alcune famiglie.
Pasqualina e Simon, cinque figli tra cui l’ultimo arrivato solo qualche mese fa, abitano anche loro nella casa Caritas Pace e Bene di Santa Maria degli Angeli.
Durante la mia visita del 2019 Simon non c’era; era andato a Roma per cercare lavoro.
Allora abitavano nel centro storico di Assisi dove vivevano insieme ad un’altra famiglia accolta.
La convivenza delle due famiglie era da subito stata difficile, con tensioni continue.
Ora la famiglia di Medhanie e Loito con i figli vive a 30 km da Assisi, anche se nessuno dei genitori lavora o sembra voler lavorare.
E’una situazione difficile da gestire.
Rossana mi dice di sentirsi rassegnata, non vedendo una reale possibilità di indipendenza per questa famiglia, che anzi sembra aspettarsi dalla Caritas una totale assistenza.
Quindici anni vissuti in un campo profughi senza possibilità di un lavoro vero, costretti all’incertezza, non aiutano certo i beneficiari a prendere iniziativa per sé o per la propria famiglia, facendo si che l’unica via rimanga solo quella dell’assistenza.
Si aggiunga a tutto ciò, i traumi subiti, la fragilità psicologica, la mancanza di educazione.
Simon dal canto suo, mi racconta di stare ancora cercando lavoro a Roma, ma al momento un’occupazione fissa non la riesce a trovare, per cui deve rimanere alla casa Pace e Bene, dove ora alloggia anche una nuova famiglia Eritrea arrivata a fine 2019 con i secondi Corridoi:mamma ed una figlia gravemente ammalata.
Rossana mi informa che stanno comunicando con il resto della famiglia ancora in Eritrea per organizzare un ricongiungimento.
Là sono rimasti con i famigliari i tre figli minorenni.
Verso sera abbiamo ancora una visita da fare.
Ritorniamo quindi ad Assisi per salutare Kuhulo, che ora si fa chiamare Rosa, e i suoi tre figli.
Si sono spostati da poco tempo in una nuova sistemazione perché al più piccolo, come mi viene spiegato, è stato diagnosticato l’asma e ha bisogno di uno spazio più arieggiato e senza polvere.
Dalla finestra la figlia più grande mi saluta.
La casa è nel nucleo centrale, in una delle magnifiche viuzze che portano alla chiesa di San Francesco.
Kuhulo/Rosa fino ad ora aveva vissuto ospitata dalle suore missionarie di un convento li vicino.
Adesso nella nuova casa è più indipendente. E certo ancor più serena.
Lavora come addetta delle pulizie nella cooperativa della Caritas ed è felice.
Mi abbraccia e poi continua a preparare la cena per i figli e per noi tutti!
Durante la cena, Rossana mi racconta che l’anno scorso erano anche riusciti a fare il ricongiungimento con il marito che era fuggito in Egitto.
Una settimana dopo il suo arrivo ad Assisi però si è nuovamente dileguato,
provocando un’ ulteriore trauma nei figli.
Penso a quanto sia davvero ostico per gli operatori gestire situazioni così complesse.
Davvero difficile capire come muoversi.
I bambini, malgrado ciò, sono cosi gioiosi e felici di mostrarmi la loro nuova casa.
Sui muri tantissimi poster con icone religiose che indicano la grande fede di Kuhulo.
I figli parlano perfettamente l’italiano, la più grande ha iniziato il liceo alberghiero e mi mostra orgogliosa il completo da lavoro appena ritirato.
Congedandomi, domando a Kuhulo come va il suo italiano e lei, candidamente, mi confessa che a casa preferisce parlare tigrino perché desidera che i suoi figli non perdano la propria lingua,
le proprie radici.
Mi promette, però, con il suo solito sorriso, che cercherà di studiare di più, ripetendomi a più riprese di quanto sia grata a Dio per i doni che ha ricevuto arrivando qui in Italia.