RELIGIONE INCROCIO DI FEDIIl programma dei corridoi umanitari ha sempre previsto la non discriminazione su base religiosa rispetto alla selezione dei rifugiati e le diocesi hanno aderito al programma consapevoli che avrebbero accolto rifugiati non cattolici. Durante la selezione dei rifugiati in Etiopia sono state spiegate l'identità cattolica della Caritas come istituzione e l'appartenenza religiosa maggioritariamente cattolica di operatori, volontari e famiglie tutor. Le comunità accoglienti sono state preparate ad accogliere persone di diverse fedi: nelle informazioni inviate prima dell’arrivo dei beneficiari è sempre stata specificata la loro fede. Dei 121 beneficiari adulti intervistati, 20 erano musulmani, 80 cristiani ortodossi, il resto era composto da cattolici, protestanti e da persone che si sono identificate solo come cristiane. Laddove comunità accoglienti e beneficiari hanno dovuto affrontare differenze religiose le esperienze sono state nella maggior parte dei casi positive, cioè tale diversità non ha rappresentato un ostacolo nel percorso di integrazione. Nelle realtà in cui sono stati accolti rifugiati musulmani sono nati dei positivi percorsi di dialogo e confronto con le comunità accoglienti. Una famiglia musulmana è stata accolta in un appartamento messo a disposizione da un convento di suore e tale prossimità ha favorito momenti di confronto sulla fede, a cui hanno partecipato volontari e famiglie tutor: “Il fatto che siano musulmani è bello. Loro ora stanno facendo il Ramadan e per me è edificante il fatto di vederli vivere con tanta serietà”. In un altro caso una famiglia di beneficiari musulmani ha chiesto ai volontari di poter invitare alcuni loro amici cattolici per festeggiare la festa dell’Assunzione il 15 agosto, come descritto da un volontario: “l’altro giorno Y. [rifugiato] mi ha telefonato alle dieci di sera. Voleva sapere che tipo di carne doveva comprare perché a quello di A. [nome di città] gli piace il maiale!”. Per quanto riguarda i rifugiati ortodossi, la Chiesa di appartenenza era quella copta etiope, le cui parrocchie sono presenti solo nelle grandi città. Inoltre, le comunità diasporiche eritree sono divise politicamente tra sostenitori e oppositori del dittatore al potere e per questo motivo molti rifugiati hanno spiegato di preferire la parrocchia cattolica, come detto da uno di loro: “Non posso andare alla chiesa ortodossa [...] la domenica andiamo alla chiesa cattolica e ringraziamo. Tra cattolici e ortodossi ci sono differenze. Ma il Signore è unico. Vedo tutte le sue grazie, vivo nelle sue mani”. Spesso la celebrazione delle festività ortodosse, soprattutto la Pasqua, è stata condivisa con le comunità accoglienti: “sono tutti e 4 ortodossi e hanno festeggiato la Pasqua la settimana dopo la nostra. Noi siamo andati a pranzo a casa loro e abbiamo preparato un piatto”. Talvolta il Vescovo locale ha garantito una presenza spirituale ortodossa, come spiegato da un’operatrice: “i due cristiani copti si sono organizzati per andare alla Messa, perché abbiamo una Chiesa, che il vescovo ha dato in prestito al sacerdote ortodosso che fa la messa lì una volta ogni due settimane”. Altri rifugiati, invece, hanno vissuto con difficoltà la mancanza della propria comunità e di un luogo di culto. Una rifugiata ha raccontato: “questo della religione per me è un po’ difficile da accettare, perché qui [...] non ho una chiesa ortodossa dove andare e questo mi crea un po’ di disagio. Perché per me quando ero giù era importante andare. Siccome davanti a Dio non basta quello che hai fatto in passato, devi continuare a farlo nel presente, adesso mi arrangio un po’ a casa; prego e basta”. Con i rifugiati cattolici, infine, la condivisione della fede ha facilitato l’accettazione delle persone all’interno della comunità religiosa, come descritto da un’operatrice: “La religione entra molto nell’integrazione, per i corridoi umanitari la famiglia tutor è cattolica e anche i migranti [...] L’essere cattolici facilita la loro integrazione perché partecipano alla Messa”. |
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