Per “vulnerabili” l’UNHCR intende:
Persone in pericolo di perdere la propria vita o la propria libertà a causa di conflitti armati, violenza endemica o sistematica violazione dei diritti umani;
Persone che manifestano comprovate condizioni di vulnerabilità così come definite dalla Direttiva Europea 2013/33 del 26 giugno 2013 (minori, minori stranieri non accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta degli esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, persone che hanno subito torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale).
Nel programma dei Corridoi Umanitari, Caritas Italiana e Comunità di Sant’Egidio hanno inteso il concetto di “vulnerabilità” come allargato tanto ai singoli quanto ai nuclei familiari: perciò, a fronte di malattie, disturbi mentali, forme di violenza subite da una persona, è spesso portato in Italia l’intero nucleo familiare, non limitato ai legami tra genitori e figli minorenni, come invece prevede la legge italiana in caso di ricongiungimento familiare.
Pertanto, sono stati selezionati anche nuclei familiari con figli maggiorenni o con adulti legati da vincoli familiari diversi dalla filiazione, come fratelli e sorelle, adulti con genitori, cugini, zii e nipoti. Tale scelta ha inteso tutelare il più possibile le persone vulnerabili e favorire il percorso di integrazione.
Tuttavia, in alcuni casi ciò ha prodotto un aggravio di problematiche per gli operatori e le comunità accoglienti. Infatti, per le famiglie con forte vulnerabilità e con molti componenti l’integrazione si è rivelata più ardua, come spiegato dal direttore di una Caritas del Centro Italia in cui, poche settimane dopo l’arrivo di una famiglia, era emersa una importante patologia mentale a carico della moglie, difficilmente curabile nel contesto prevalentemente rurale di quella diocesi, costituita da piccoli paesi sprovvisti di centri di igiene mentale e lontani decine di chilometri dall’ospedale:
“Se ci viene su qualcuno col problema psichiatrico e non rientra nel progetto di vulnerabilità, per noi diventa un disastro, un disastro[...] il marito adesso, consapevole di questa situazione, difficilmente vuole un’altra famiglia vicino, perché sa che comunque la moglie non accetterebbe. E quindi […] che integrazione facciamo? Com’è possibile integrare?”.
La stessa dinamica si è verificata nei quattro casi di famiglie con un grande numero di figli. L’integrazione di questi nuclei ha comportato la necessità di far fronte a esigenze di vita, aspettative, bisogni, competenze e progetti molti diversi tra loro e non sempre i territori hanno prodotto occasioni di inserimento lavorativo per gli adulti, possibilità di cura per i familiari vulnerabili e vie di inserimento scolastico per i minorenni (I. Schnyder von Wartensee e B. Panchetti. Family within the Humanitarian Corridors program.La famiglia- Rivista di problemi familiari. 2021, pag. 317- 327).
Ciò ha portato Caritas Italiana e la comunità di Sant’Egidio a rivedere la selezione di tali nuclei familiari e a prevedere una preparazione più approfondita per quelle comunità e quelle equipe di operatori che se ne fanno carico.
Un altro aspetto problematico è stato l’inserimento in Italia delle persone con uno scarso livello di istruzione o analfabeti, che hanno richiesto un lavoro di insegnamento della lingua italiana e delle norme e delle consuetudini sociali più elementari e importanti molto più lungo dei 12 mesi del progetto di accoglienza. Da ciò è derivata la necessità per le diocesi e le comunità accoglienti di reperire risorse economiche e professionali (quali in primis i mediatori culturali) nella maggioranza dei casi non previste all'inizio del programma annuale di accoglienza.
Infatti, solo poche diocesi avevano preventivamente stanziato risorse per proseguire autonomamente il percorso di accoglienza e integrazione oltre i 12 mesi finanziati da Caritas Italiana.
Tale problema è stato particolarmente acuto con i rifugiati di etnia Kunama, per i quali nel 2018-2019 non c’era alcun mediatore in Italia. Addirittura in un caso la stessa commissione che doveva analizzare la domanda di asilo ha rinviato a più riprese l’audizione della famiglia, a causa della mancanza di mediatori su tutto il territorio nazionale.