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Spotlight | Encounters
28 febbraio 2022

ENCOUNTERS FOURTH ISSUE

Ko Strong è stato uno dei tanti milioni di persone che hanno sofferto sotto la repressione del governo

e dell’esercito del Myanmar (Burma).

Negli anni 90, è divenuto un prigioniero politico dopo che l’esercito l’aveva accusato di essere una minaccia al regime.

Strong è stato arrestato rimanendo sette giorni senza cibo e con poca acqua. Per 6 mesi, Ko non ha potuto vedere 

né il sole né qualsiasi forma di luce naturale.

Giorni di assoluta sofferenza  che si sono trasformati in settimane e poi in lunghi mesi. “Mi sentivo senza speranza”, dice.

Strong è rimasto in carcere per più di cinque anni, durante i quali ha subito  varie forme di tortura fisica e mentale.

In Myanmar, la mamma di Ko andava a trovarlo ogni due settimane, sebbene l’esercito lo avesse intenzionalmente detenuto

in  una prigione lontana dalla propria casa per rendere difficile come per altri prigionieri ,la possibilità di visite dei propri cari.

La mamma di Ko ripeteva senza fine, “tu non devi essere mai più arrestato”. Alla fine, Ko è riuscito a fuggire  prima a Bangkok.

E poi negli Stati-Uniti.

“Sono venuto negli Stati-Uniti per trovare la libertà – la libertà di parola, di assemblea, di religione, di stampa,

di interfacciarsi con le istituzioni.In Burma, il governo controllava ogni cosa”.

Strong è arrivato negli US attraverso l’aeroporto di Honolulu nel 1999.

Ha studiato  all’Istituto di Tecnologia di New York e IVY Tech Community College, e nel 2009 ha cominciato a lavorare

per il Catholic Charities, che recluta rifugiati che hanno buona conoscenza dell’inglese ,

per poter aiutare nel processo d’integrazione coloro che non parlano l’inglese.Ko a tutt’oggi, da più di 20 anni continua a lavorare

per questa organizzazione cattolica.

Ko è secondo ogni punto di vista esattamente quel che significa  il suo cognome: Strong, cioè forte, tenace.

Malgrado sia stato sottoposto alla crudeltà e alla repressione del regime militare Burmese, è incredibilmente riuscito

a costruirsi una nuova vita negli Stati Uniti dedicandosi ad aiutare gli altri rifugiati nel loro  percorso d’integrazione.

 

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