All’interno del progetto dei corridoi umanitari, la modalità con cui i beneficiari sono accompagnati nell’inserimento nel nuovo contesto sociale e culturale, è decisiva, umanamente e come efficacia dei risultati. Tale processo di accompagnamento comporta diverse dimensioni.
La prima riguarda l’aiuto a seguire la trafila burocratica per l’ottenimento dello status di rifugiato, a garantire una sempre maggiore autonomia linguistica, attraverso lo studio dell’italiano, e ad incrementare la probabilità di ottenere un lavoro, grazie all’attivazione di borse lavoro e tirocini. Tutte le caratteristiche descritte favoriscono l’integrazione dei beneficiari e la loro autonomia di vita, sia per quanto riguarda la lingua, il lavoro e l’abitazione, sia per quanto riguarda il crescere dell’autonomia rispetto all’iniziale dipendenza da forme di assistenza attuate dalla Caritas, dagli operatori e dai volontari.
Vi è poi un’altra dimensione altrettanto decisiva per garantire un reale accompagnamento. Essa riguarda gli stessi operatori e volontari, che devono essere aiutati a divenire consapevoli di cosa significa accogliere e accompagnare persone provenienti da contesti sociali e politici estremamente difficili e da culture diverse da quella italiana. Una formazione continua di operatori e volontari è importante al fine di saper dialogare con le diversità culturali e saper superare le incomprensioni linguistiche nei problemi che la vita quotidiana fa emergere. Sia per operatori che per volontari le forme più utili di accompagnamento sembrano essere quelle psicologica e di mediazione culturale, che permettono di condividere e analizzare in modo più completo le difficoltà e gli elementi positivi che emergono nell’incontro fra le culture.
Una terza dimensione dell’accompagnamento riguarda il rispetto, l’attenzione e l’aiuto al cammino di libertà dei rifugiati. L’esempio tipico riguarda il caso in cui un beneficiario o una famiglia di beneficiari decidano di partire e spostarsi in altro luogo (paese), prima della fine del progetto. Non leggere una tale decisione come un rifiuto dell’accoglienza ricevuta ma un gesto di speranza affrontato con libertà, favorisce il permanere dei rapporti umanamente positivi, fra beneficiari e famiglie di sostegno e di un giudizio positivo sul periodo di accoglienza vissuto in Italia.
L’insieme delle dimensioni descritte evidenzia che accompagnare il cammino, per simpatia e partecipazione alla reale integrazione dei rifugiati, è il “metodo” dell’accoglienza. Grazie ad esso, tutti i soggetti implicati fanno l’esperienza che integrazione non è semplicemente risolvere problemi (abitativi, occupazionali, ecc.) ma il nascere, il formarsi di una vita comune in cui si è pienamente riconosciuti e accettati. In particolare, per coloro che accolgono famiglie di rifugiati, gli intensi sforzi di solidarietà che sono al centro della loro iniziativa, diventano sostenibili solo se l'impegno viene costantemente affrontato e risvegliato dalla coscienza del valore del gesto compiuto: "perché sto facendo questo?" "per cosa ne vale la pena?" (Schnyder vW, di prossima pubblicazione).
Dai primi risultati della ricerca sui corridoi umanitari si evince che per aiutare i rifugiati nella prima fase di transizione un simile accompagnamento è necessario (Schnyder vW et al 2018, Sedmak, 2019). Esso è espressione del tentativo di prendere più seriamente i poveri come soggetti protagonisti del proprio sviluppo (Goizueta 1995, Berloffa et al. 2012) e, nel farlo, combina l’esperienza di professionisti, l’impegno quotidiano e il supporto di una rete di volontari in un dialogo e una partecipazione attiva. Per questo, nella letteratura, la verifica di processi di accompagnamento è stato il modo per descrivere, a fronte di problemi di povertà e migrazione, uno sviluppo umano integrale (Schnyder vW, 2018, Schnyder vW, di prossima pubblicazione, Lamberty 2015, Sedmak, di prossima pubblicazione, Farmer 2011, Reifenberg e Hlabse, di prossima pubblicazione).