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Bouba e la città

Durante tutti i miei anni di scuola primaria e poi nel secondo ciclo, ho seguito una scuola classica, umanistica
e letteraria, avevo molta familiarità con queste materie.
Poi è arrivato il momento del passaggio dalla scuola primaria all'istruzione superiore.
La cosa più difficile è stata lasciare il villaggio per trasferirmi in città,
essere lontano dai miei genitori e dagli amici e ritrovarmi nelle dinamiche della città per la prima volta,
con un’emozione mista tra la sorpresa e la paura.
Il mio primo spostamento dal villaggio alla città lo definirei un viaggio mentale
e non solo fisico tra due luoghi diversi.
Prima di partire l’intero villaggio mi è stato vicino, raccontandomi quali potevano essere i “pericoli”
ed in cosa bisognava essere attenti.
Non avevo mai visto un treno. Ad esempio, qualcuno mi disse che ci sarebbero stati i controllori
e che non erano poliziotti, questa differenza per un giovane non è così scontata.
Tutti prima di partire si preoccupano per te, per il cammino a piedi, per la strada da percorrere.
Ricordo questo momento molto piacevole, l’intero villaggio si interessa ad ogni abitante.
Era settembre, a fine stagione delle piogge. Ero in viaggio con il mio amico Sambou
ed un adulto del nostro villaggio che andava verso Bamako.
Io e Sambou ci sentivamo vulnerabili, forse è normale esserlo nel movimento dal villaggio alla città,
l’avevamo immaginata, non è la stessa cosa essere in cammino a piedi, per due giorni,
con l’obiettivo di raggiungerla.
E’ stato più facile camminare per 40 km a piedi che prendere il treno, per noi del villaggio.
Giunti a Oualia, la stazione dei treni più vicina al nostro villaggio,
sentivamo la differenza tra il nostro ed i territori più vicini alla città:
c’era il rumore dei motori delle macchine, non c’era più quel silenzio tipico del villaggio fatto di sonorità naturali,
non c’era più il suono ritmico generato dal setaccio delle donne che lavoravano i cereali a mano.
A Oualia abbiamo iniziato a parlare solo bambara, non più il nostro dialetto,
anche il modo di vestire appariva diverso.
Nel villaggio gli abiti sono di colore forte, in città si vedono poco.
Qualcosa era già diverso e non eravamo ancora arrivati nella grande città!
Dopo due ore, abbiamo sentito per la prima volta il rumore del treno, un momento forte ed emozionante.
Il segnale dell’arrivo del treno lo sentivo nella pancia.
Tutti pronti a correre per salire sul treno, per fortuna siamo riusciti anche io e Sambou.
Dal finestrino vedevamo come il passaggio cambiava da una città ad un’altra,
più eravamo vicini e più sentivamo la città, gli edifici diventavano grandi e moderni.
Tutto in città ci sembrava più alto.
Dopo dieci ore, siamo arrivati a Bamako, di notte.
La prima cosa che ricordo è l’estensione infinita di luci che avevo davanti agli occhi, ero a bocca aperta.
Nel villaggio non avevo mai visto così tanta luce tutta insieme.
Il treno rallentava prima dell’ingresso nella stazione: il traffico di auto scorreva accanto a noi,
tantissime moto, tutto pieno di gente.
Mi chiedevo come avrei potuto sopravvivere a quel caos dinamico e veloce che avevo davanti agli occhi.
Dalla stazione del treno dovevamo ancora arrivare a destinazione: lì bisogna stare molto attenti,
i trasporti comunali non sono organizzati, i tassisti ti vengono incontro spingendoti a salire sulle loro auto.
Si sentiva il nome dei quartieri che i tassisti urlavano, noi dovevamo andare al quartiere di Djicoroni Para.
Abbiamo preso un sotrama, una specie di minibus di una società privata di trasporti di Bamako,
il biglietto costava 150 cfa, all’incirca 50 centesimi di euro.
L’autista raccoglie il denaro e ti porta a destinazione.
all’incirca 50 centesimi di euro. L’autista raccoglie il denaro e ti porta a destinazione.
A Djicoroni Para mi son fatto tante domande nel corso dei mesi.
Come ci sentiamo quando viviamo in un luogo diverso da quello che abbiamo sempre conosciuto,
fatto di amici ed affetti familiari?
Non è stato solo l’inizio del liceo quel momento per me:
è stata la mia prima “migrazione” lontano dai miei genitori
e dalle persone che mi sono care.
Se mi avessero detto che quella sensazione l’avrei provata ancora da adulto giungendo in Italia,
non ci avrei credutoeppure non si ha mai l’età giusta per darsi buone risposte, continuo a farmi domande,
a sentire quanto cambia di me ogni spostamento che faccio.
Quante città ho visto e quanto mi sono sentito più o meno me stesso ad abitarle.
Sarà per questo che poi ho scelto l’ambito dell’urbanistica, lo studio delle città e di come le abitiamo.

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